Vi è un legame indissolubile che intercorre tra Cannabis, musica reggae e cultura rastafariana.

Come abbiamo ribadito negli articoli a tema culturali sulla cannabis, l’erba veniva utilizzata da secoli, presso molte civiltà e culture, ai fini terapeutici, curativi e meditativi. Una delle culture più note legate all’assunzione di cannabis, è la cultura Rastafariana. One Love!

 Il Rastafarianesimo

Vi sono sempre stati dubbi e incertezze nel definire il movimento rasta. Esso è stato etichettato spesso come filosofia di vita, a pari del confucianesimo, ma in realtà questa religione è un credo nato in Etiopia negli anni Trenta del ‘900, in seguito all’incoronazione come imperatore di “Ras Tafari”, eletto nel 1930 con il nome di Hailé Selassié I. esso fu riconosciuto Negus Neghesti, re dei re, eletto da dio, luce del mondo e leone conquistatore della tribù di Giuda: quest’ultimo gli fu attribuito per essere tornato cinque anni dopo dal suo esilio volontario durante l’occupazione italiana dell’Etiopia. I rastafariani credono in Gesù e negli insegnamenti della chiesa cristiana ortodossa. L’Etiopia, in questo contesto, è ritenuta la nuova Gerusalemme: essa, infatti, riceve il compito di custodire la purezza della cristianità e di custodire il trono di Davide fino al ritorno di Cristo, al quale appartiene sin dall’inizio dei tempi. Secondo la religione rastafariana, l’Etiopia ricevette l’arca dell’alleanza. Questa religione predica la “parentela spirituale” ciò significa che i rastafariani non sono chiusi verso altre religioni ma vogliono rispettarle. Credono in un unico pensiero internazionale, retto dal principio della sicurezza collettiva, dell’autodeterminazione dei popolo. Le donne sono considerate pari agli uomini, ma la società resta comunque patriarcale. La moglie di Hailè Selassiè è considerata la più importante delle creature dopo Gesù, la madre della creazione e la regina dei cieli. Zion è il luogo in cui si manifesterà Cristo, così come gli ebrei erano in cattività nella Babilonia (simbolo del male terreno) volevano tornare a Gerusalemme, i Rastaman vorrebbero tornare in Etiopia.

I dreadlocks, non solo moda.

La caratteristica stilistica che contraddistingue i rastaman è sicuramente la capigliatura, denominata dreadlocks dietro al quale si cela un gesto culturale tipico di questa corrente religiosa. Secondo la religione rastafariana, i suoi adepti non devono tagliare barba e capelli (possibili collegamenti religiosi con Sansone) non devono tatuarsi, devono allontanarsi da ogni bene terreno per sconfiggere questa terra di peccato e peccatori che definiscono con il termine di Babylon, destinata ad essere sconfitta bruciata “burnig down” che avranno accesso alla terra promessa, ovvero Zion. Quella dei dreadlocks è una pratica facoltativa che consiste nella realizzazione di un voto biblico, il nazireato: è la consacrazione della propria testa, tramite l’astensione dalla pettinatura e dal taglio di capelli. Questa pratica ascetica implica anche l’astensione da alcolici, uva e una dieta vegetariana. Il sentimento religioso solido che illumina i rastafari, si deve in particolare al movimento Etiopista, corrente di ispirazione cristiana risalente al XIX secolo, che rivendicava il recupero della libertà culturale e nazionale degli africani, quindi oltre che religioso, vi si cela anche una causa sociale.

Agli inizi del ‘900 gli etiopisti, guidati dall’attivista Marcus Garvey, spesso associato a Giovanni Battista, precursore di Cristo, iniziarono a credere nella venuta di un messia che avrebbe permesso il riscatto dell’Etiopia. Egli ricopre una delle figure chiave che si erge nella religione e cultura Rastafari, il poeta e predicatore Marcus Gavey che, che negli anni ’20 dello scorso secolo, sulla base di alcune autonome analisi della lettura della Bibbia, profetizzò per l’Africa l’arrivo di un grande leader nero, che potesse ricondurre nel Continente i discendenti di tutti gli schiavi africani sparsi per il mondo, illegalmente trasferiti per scopi costrittivi di lavoro. Da questo ne deriva che una colonna portante del rastafarianesimo è il desiderio di tornare nella propria terra d’origine, mettendo fine a ogni forma di oppressione da parte degli occidentali che, per secoli, hanno depredato il continente africano e hanno forzatamente alimentato una migrazione di massa. È lecito sottolineare come coloro che seguono la religione Rasta ripudiano ogni forma di oppressione, memori di quella subita ai danni della società capitalista occidentale. Si tratta dunque di una cultura molto attenta alle esigenze della Natura, e che da quest’ultima trae tutto ciò che occorre per il proprio benessere fisico e spirituale.

Non è un caso che i rastafariani rifiutino di curarsi con la medicina occidentale e di cibarsi con prodotti che non siano direttamente derivanti dalla terra. Come la maggior parte dei nostri lettori sa, la cannabis, ma non i suoi estratti (l’hashish, wax, estrazioni) viene considerata dai Rastafariani come portatrice di salvezza ed è impiegata come erba medicinale che corre in supporto alla preghiera e alla meditazione. Si crede che la ganja, termine che deriva dal sanscrito e che sta ad indicare la cannabis, sia cresciuta sulla tomba di Salomone e che tragga da lui la forza e conoscenza, ed inoltre, è associata all’albero della Vita e della Saggezza presente nel giardino dell’Eden. Il movimento non è organizzato su rigide basi gerarchiche, come invece sono disciplinate altre religioni. D’altronde, parliamo di un movimento che è nato e si è sviluppato portando sotto la bandiera della non violenza e il concetto di uguaglianza e, dunque, un capo supremo o una piramide gerarchica finirebbe con il contrastare i principi stessi alla base del movimento. Si tratta pertanto di un’organizzazione molto flessibile, priva di solide gerarchie, aperta al dialogo e alla condivisione. I Rastaman sono convinti che la cannabis, o Kaya sia un prodotto in grado di migliorare la propria autocoscienza, avvicinandosi alla verità e al mondo. Chiamata anche seme della saggezza, i seguaci della religione sono soliti usufruirne riempendo una grande pipa denominata calice o arrotolarla come delle sigarette in stile classico spinello.

Il reggae, la cultura rasta e la cannabis.

I rasta man più fedeli non dovrebbero usare la marijuana a scopo ricreativo, ma dovrebbe essere riservata a fini religiosi e medicinali, mentre altri fedeli non lo usano affatto. Quando utilizzano cannabis, lo scopo è di aiutare la meditazione e forse aiutare il credente a ottenere una visione mistica più ampia della natura dell'universo. I rasta chiamano la Cannabis "ganja" o “kaya” e la consumano regolarmente, fumandola, ingerendola o aggiungendola a bevande e alimenti. Ma come nelle altre religioni, anche qui vi è un contrasto tra chi segue rigorosamente le regole, e quindi la utilizza esclusivamente per fini religiosi, spirituali e meditativi, e altri invece che ne fanno un uso ricreativo. Nel corso dell’evoluzione del contesto storico e culturale, la musica reggae ha significato molto per la cultura Rasta, e anche per la cannabis, infatti, fu proprio quando gli artisti reggae cominciarono a convertirsi a questa nuova corrente religiosa, che gli elementi tipici afro-giamaicani divennero allora il tema centrale come simbolo d'identità e orgoglio. Questa fase di sviluppo del reggae era caratterizzata da tempi rallentati e da un sound complessivamente più rilassato ed ipnotico.

Il profeta del rastafarianesimo e principale esponente della corrente musicale reggae fu il celeberrimo Robert Nesta Marley, meglio conosciuto come Bob Marley. L’artista nacque a Nine Mile, in Giamaica, il 6 febbraio 1945 da padre colonizzatore britannico, Norval Sinclair Marley e madre giamaicana, Cedella Booker. Nel 1957 Bob e sua madre si trasferirono a Kingston in cerca di una vita migliore e a 15 anni il giovane lasciò la scuola e iniziò a lavorare come saldatore, dove in seguito, verso i 17 anni volle far parte del mondo dei rasta. La sua attività ebbe inizio nel 1961 con il suo primo singolo” Judge Not” ma questa canzone, anche se molto innovativa, non ebbe grande successo. Con il passare degli anni, esattamente nel 1964 Bob decise di formare con alcune conoscenze del mondo musicale, Bunny Livingston e Peter Tosh la famosa band The Wailers, con cui suonò ovunque in giro per il mondo; dopo il loro scioglimento, nel 1974, riformò la band reclutando nuovi elementi, ma continuò a suonare e a pubblicare dischi con il nome Bob Marley & the Wailers.
Questo nuovo gruppo fu mezzo per portare il mondo alla conoscenza di questa religione attraverso il nuovo stile giamaicano. Il lato grezzo e selvaggio dei primi ritmi reggae scomparve, e all'inizio degli anni Settanta, cominciò così ad emergere il roots reggae. Questo stile irresistibile con la sua semplicità, originalità ed essenzialità, tornò alle sue radici africane.

Bob Marley si convertì al rastafarianesimo nel 1966, molto prima che raggiungesse la fama internazionale come musicista. La sua conversione coincide con le conversioni di migliaia di suoi compagni giamaicani di discendenza africana, e man mano che la sua fama crebbe, assunse la posizione cardine della sua cultura e della sua religione. In pochi anni divenne fermo sostenitore delle proprietà benefiche dell'erba. Per lui era molto di più di una droga capace di rendere curiosi ed affamati; la Cannabis era una sostanza potente capace di aprire la mente stimolando la meditazione. In una famosa intervista, Bob Marley sintetizza in poche parole la sua opinione sul tema:

«Quando fumi erba conosci meglio te stesso. Tutte le tue debolezze e le tue nefandezze sono rivelate dall'erba che ti dà un'immagine più limpida della tua coscienza, perché l'erba ti fa meditare. È una cosa naturale che cresce come un albero.»


Una delle immagini più iconiche per tutti i consumatori di questa ormai diffusissima sostanza è la copertina dell’album “Catch A Fire” del 1973, dove si vede un giovane Bob intento a fumare un grande Joint. Questo non solo rappresenta lo spirito ribelle dell’artista, ma sottolinea anche la sua profonda connessione che si era instaurata con questi fiori. Lo stesso messaggio di amore e armonia verrà portato avanti con l'album Kaya island, del 1978 la terminologia “Kaya” nella cultura rastafari significa appunto cannabis. Bob non la usava in modo ricreativo e non vedeva il suo uso come una questione casuale. La considerava come parte di un rito sacro, proprio come i cattolici vedono la Santa Comunione o alcuni nativi americani vedere l'uso cerimoniale del peyote. Vedendo sé stesso come una persona “santa” (come tutti i rastafariani), Marley credeva fortemente che l’utilizzo di queste infiorescenze aprisse una porta spirituale che gli permettesse di diventare l'artista e il poeta che era. Attraverso delle indagini si è scoperto che la genetica preferita di bob marley fosse la “lamb Breath”, ma in realtà questo termine fu errore di trascrizione e traduzione poiché questa terminologia ha riferimenti religiosi. Nel luglio 1977, Marley notò una ferita nell'alluce destro, e pensò di essersela procurata in un incidente durante una partita di calcio. Successivamente durante un'altra partita di calcio l'unghia dell'alluce si staccò. Solo a quel punto fu fatta la diagnosi corretta: melanoma acrale che cresceva sotto l'unghia dell'alluce. Da alcuni medici gli fu consigliato di amputare l'alluce, da altri solo il letto dell'unghia; Bob scelse per motivi religiosi, la seconda opzione ma il melanoma non fu curato del tutto e progredì fino al cervello. Il giovane artista muore nell’ 11 maggio del 1981 all’età di 36 anni e il suo corpo viene sepolto nella sua terra di origine, la Giamaica. L'anno seguente Bob Marley organizzò un nuovo concerto politico in Giamaica, dal nome One Love Peace Concert, sempre nel tentativo di arrestare l'ostilità tra i due partiti in guerra. Su espressa richiesta di Marley, i due leader rivali, Michael Manley ed Edward Seaga si incontrarono sul palco e si strinsero la mano. Bob compì un vero miracolo politico sociale per la situazione critica di quel periodo storico.

In conclusione.

Bob Marley e la musica reggae sono stati fondamentali nel processo di diffusione dell’uso della cannabis in giro per il mondo. La pianta sacra conferma il suo ruolo di musa ispiratrice, non solo di ricerche genetiche e mediche, ma bensì come fonte di meditazione per un’intera cultura, per un intero genere musicale e per uno degli artisti più conosciuti al mondo. Il messaggio di unione che questo genere musicale tende a promulgare, non può che non sposarsi con la visione ottimale del consumo di cannabis, ovvero l’assunzione di essa in situazione di meditazione, riflessione o di smarrimento, in modo tale da poterla celebrare secondo l’uso rituale. Perché si sa, è una pianta da cui poter trarre numerosi elementi per poter migliorare la vita quotidiana, ma potrebbe essere utilizzata anche come cura dell’anima e dello spirito.

 

fonti:

wikipedia

1000miglia.eu

dreadhead.it

rockol.it

zoeseeds.com

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